Ma i giovani italiani hanno bisogno oggi di qualcosa di più di un mentore che dia qualche suggerimento ed aiuto per la propria carriera. Hanno bisogno di modelli di sistemi di valori.
I valori non sono cose metafisiche o etiche, ma principi che guidano la vita professionale e personale di tutti i giorni e che, se seguiti, sono nell'interesse a lungo termine di chi li vive, anche se magari a breve portano qualche danno. Il più importante? Accettare la concorrenza e non cercare di aggirarla grazie alle amicizie, o peggio, al non rispetto delle regole, cosa che nel mondo delle imprese italiane oggi continua ad avvenire ancora troppo spesso. Ma ce ne sono altri di valori, altrettanto importanti. Come l'essere totalmente responsabili del proprio destino, affrancandosi il più presto possibile dal sostegno della propria famiglia, che spesso spinge anche a scelte che vanno bene a genitori e non ai figli. Il primo capitolo del mio quarto saggio, che uscirà ad aprile, è intitolato "la famiglia italiana, una fabbrica di disoccupati". E poi, saper accettare i benefici dei fallimenti; fallire almeno un paio di volte nella propria vita aiuta a sentirsi più sicuri di se. L'alternativa è la consuetudine e il basso profilo, che sono la garanzia di una vita senza stimoli e successo. La passione per il proprio lavoro è una conseguenza di quanto sopra; chi fa scelte professionali scelte da un genitore, senza rischi e totalmente protetto, alla fine non troverà quella passione ed entusiasmo che derivano dal riuscire a fare ciò che veramente entusiasma.
Poi c'è la ricerca della diversità; chi continua a frequentare tutta la vita gli stessi amici del liceo e solo quelli, non avrà mai la pienezza umana e professionale di chi, invece, ha vissuto e lavorato in ambienti sempre diversi e con persone diverse. Diventare cittadini del mondo è essenziale non solo per diventare insider in altre economie, ma soprattutto per formarsi alla diversità.
Questi e altri valori non sono stati troppo necessari ai giovani italiani che iniziavano la propria carriera nel secolo scorso in Italia, a meno che non avessero la fortuna di lavorare in società che avevano valori globali e li applicavano anche in Italia.
Ma il nostro paese sta cambiando. In parte perché abbiamo quasi toccato il fondo durante questa grave crisi, in parte perché qualche "rottamatore" sta venendo fuori (ancora troppo pochi), ma soprattutto perché gli italiani stanno iniziando a tirare fuori il proprio orgoglio. I segnali ci sono. Un premier giovane che attacca un tabù come l'articolo 18. Un simbolo del capitalismo da rottamare, la Confindustria, sempre più emarginata e la Fiat, il suo campione del secolo scorso, che ormai è una azienda globale.
Nuovi giovani imprenditori che non sono i figli di quelli anziani che si incontrano a Capri e a Santa Margherita, ma imprenditori di prima generazione. Banche che per anni hanno dato il credito a chi non se lo meritava che vengono disintermediate da nuovi players, e il loro regolatore che viene sempre più sostituito dalla BCE. Donne nei CDA italiani che sono passate dal 5% al 20% in pochi anni. 6 milioni di studenti italiani che hanno preso il test INVALSI da quando chi scrive propose a una Ministra di buona volontà di togliere l'INVALSI dal commissariamento. Sindacati che contano sempre meno.
C'è ancora moltissimo da fare e siamo forse al 20 percento di dove dovremmo essere, ma qualcosa si muove. I giovani italiani con i valori per il 21 secolo, faranno grandi carriere in un'Italia che sta cambiando.
Roger Abravanel
Director Emeritus McKinsey&Company, Editorialista e Autore