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NO COUNTRY FOR YOUNG (educated) PEOPLE

di Domenico Campa | Mentor di Mentors4u

Il Mentor Domenico Campa è Professor of Accounting presso l'International University of Monaco. Membro del board della European Accounting Association, le sue ricerche sono state accettate per pubblicazione in rilevanti riviste interazionali come Accounting and Business Research o Journal of Accounting, Auditing and Finance.
In questo articolo, Domenico Campa condivide con i mentee pensieri e riflessioni di un accademico..all'estero.

Cari Mentees, innanzitutto voglio complimentarmi con Dimitri e Stefania per avere creato questo progetto ad alto contributo sociale e con un grosso valore aggiunto per i mentees e i mentors.
Lo spunto di questo mio intervento ha origine da alcune statistiche presenti sul sito di Mentors4U e dalla mia esperienza personale. La sezione “mentors” del sito cita: “Il 60% dei nostri Mentors vive e lavora all’estero”. Io aggiungo, dopo alcune riflessioni econometriche che vi risparmio, “percentuale che cala significativamente tra il gruppo dei senior mentors”. Pertanto suddividendo i mentors in base all’esperienza e, dunque, all’età, la percentuale di professionisti che vivono e lavorano all’estero è superiore tra i più giovani. “Questo ha scoperto l’acqua calda!!” starà sicuramente pensando la maggior parte di voi. Non è questo il punto. Io vorrei fare un ragionamento su queste difficoltà che i giovani spesso trovano nel nostro Paese e che, a mio parere, non è da attribuire alla difficile situazione economica italiana e/o alla crisi globale come spesso l’informazione nazionale (messa peggio di quella di Paesi tipo Niger, Romania e Sudafrica in termini di libertà di stampa secondo il World press freedom index 2014 e spesso affidata a soggetti tipo Studio Aperto o a Barbara d’Urso) vuol farci credere. Io penso che questo fenomeno sia dovuto ad una situazione culturale nazionale, ancora abbastanza chiusa in termini di progressione della scala sociale con ampie differenze non solo con gli altri Paesi del mondo ma anche tra Nord e Sud Italia.
Moltissimi anni fa ho lasciato la mia amata Lecce, direzione Milano, perché ero diventato insofferente verso una cultura retrograda che misura il successo personale sulla base del ceto sociale della famiglia di origine piuttosto che sulle capacità di un individuo. I miei sette anni a Milano mi hanno fatto crescere molto. Ho incontrato tanti ragazzi e ragazze di diversa origine geografica e culturale che mi hanno arricchito e aperto la mente; ho frequentato persone che mi han dato fiducia, hanno creduto in me, mi han coinvolto nei loro progetti esclusivamente per le mie capacità. Non capivo perché i vari professionisti e, soprattutto, accademici all’estero ce l’avessero così tanto con il Belpase. Milano era la mia Atlantide, terra meravigliosa e sconosciuta. Alla fine del mio dottorato in Irlanda però un po’ di nodi sono venuti al pettine. Quando ho iniziato a cercare lavoro nelle università, con Italy my first choice, la mia passata riluttanza al servilismo, incensamento e piaggeria nei confronti dei cosiddetti “piani alti” ha fatto la differenza. E ti ritrovi a capire che se il ceto sociale della famiglia di origine magari non conta, il networking e la predisposizione all’ipocrisia e ai sorrisi falsi diventano uno dei must anche ad “Atlantide”. E mentre ti sveni a contrattare un assegno di ricerca da 500/600€ al mese, istituzioni estere (irlandese nel caso di specie) ti propongono un contratto serio, decente, o per usare un termine più corretto, normale, e si assicurano le prestazioni di valide persone per le quali non hanno speso neppure un euro di formazione (per i curiosi consiglio un articolo apparso su Repubblica lo scorso 23 marzo dal titolo “Il laureato emigrante: un capitale umano costato 23 miliardi che l’Italia regala all’estero”).
Allora quello che penso, e che voglio condividere specialmente con voi, cari mentees, è che questa tendenza a “costringere” all’allontanamento volontario una parte di giovani con un elevato grado di istruzione e con spiccate tendenze critiche e avverse al servilismo, da essere percepite quasi eversive da qualcuno, mi sembra abbia creato una specie di “selezione avversa” dove i posti di una certa rilevanza culturale, economica, finanziaria e politica sono affidati, nel migliore dei casi, al “meno peggio” piuttosto che all’eccellenza. E allora non mi sorprendo di chi vuol farci credere, ahimè riuscendoci,  che il problema della crescita economica italiana sia la difficoltà nel licenziare i lavoratori e non una burocrazia ai limite dell’inverosimile, una pressione fiscale non coerente al livello dei servizi pubblici offerti e, soprattutto, uno stato di impotenza delle istituzioni di fronte alla criminalità organizzata e ad un livello di corruzione generale che distrugge ogni libera iniziativa imprenditoriale. È triste e pericoloso non stupirsi più di università pubbliche dove si osserva l’albero genealogico di alcune famiglie o che sembrano ovvi livelli di arrivismo che calpestano ogni aspetto etico e ogni dignità altrui.
Quello che voglio trasmettervi con queste riflessioni è che alla fine si arriva alla meta anche senza servilismi fantozziani o compromessi. È un po’ più dura ma la soddisfazione che si prova è impagabile. Io amo il mio lavoro perchè trascorro tantissimo tempo con potenziali mentees, studenti come voi, con obiettivi, sogni, desideri, passioni, forze, preoccupazioni e debolezze che rappresentano i futuri managers, politici, finanzieri e imprenditori. Io spero di dare il mio contributo per formarli ad imparare a non restare indifferenti davanti alle ingiustizie e a provare disgusto e ribrezzo per chi non si comporta secondo le normali regole etiche. Cerco di far capire che le aziende vanno gestite nell’interesse di tutti gli stakeholders e non solo per massimizzare l’ultimo riga del conto economico; che i dipendenti sono i principali attori del successo aziendale e che quindi sono una risorsa preziosa che va tutelata più di ogni altra cosa; che solo il merito, la preparazione e lo studio permette di raggiungere gli obiettivi che uno si prefigge e che ogni scorciatoia che aggiri la meritocrazia produce risultati avversi; che un’azienda deve generare un profitto sostenible e che le decisioni aziendali devono essere guidate prima dall’etica e solo dopo giustificate da un adeguato ritorno economico. Ai miei studenti del master in Finanza ripeto fino alla nausea che il mondo non crolla se non controllano le emails mentre sono a pranzo con la famiglia o quando giocano coi figli; che non succede nulla di catastrofico se non rispondono alle chiamate di lavoro durante il weekend o se non stanno in piedi fino a tardi per sapere come apre la borsa asiatica; che l’approccio della finanza molto in voga negli ultimi tempi del “rubare ai poveri per dare ai ricchi”, oltre che contrario all’etica, è anche contro ogni principio di creazione e di redistribuzione della ricchezza; che quando il lavoro non procura piacere ma stress c’è qualcosa che non va.
Voi tutti, cari mentees, siete il futuro e solo se fate il vostro lavoro in maniera giusta, onesta, etica, meritocratica, potete contribuire ad uno sviluppo positivo della società. Solo quando le persone con queste caratteristiche torneranno di moda e saranno la maggioranza, l’Italia (e non solo) ritornerà quel Paese che per millenni ha insegnato la civiltà e la cultura al mondo intero. I miei genitori, prima di ogni passo significativo che faccio, ogni esperienza di qualsiasi tipo mi dicono sempre “figlio mio, apri gli occhi”!!! E siccome è quasi impossibile essere più saggio di un genitore, io vi lascio con lo stesso messaggio ma aggiungendo “cari mentees aprite gli occhi, e tenete acceso il cervello”.
Domenico Campa
Professor of Accounting presso l'International University of Monaco e Mentor Mentors4u

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