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LAVORARE NEL PRIVATE EQUITY A LONDRA. Intervista a Marco Strizzi

di Mentors4u - Carlotta Siniscalco e Giulia Avvanzini | Team Mentors4u

Il Mentor Marco Strizzi, Associato presso il fondo BC Partners, dove è approdato dopo quattro anni in JP Morgan nella divisione di Investment Banking, risponde ad alcune domande sul mondo della finanza londinese.
 

Londra: posto migliore per iniziare la carriera nel mondo della finanza? Perché?
Non so se il migliore in assoluto – se la gioca almeno con New York – ma credo il migliore per un europeo che non ha studiato negli Stati Uniti. Da Londra passa la maggior parte del business dell’alta finanza europea e, di conseguenza, un giovane qui può beneficiare del massimo livello di esposizione ed apprendimento. Inoltre, a differenza degli Stati Uniti, a noi europei non è richiesto alcun tipo di permesso lavorativo, mentre il visto americano è molto difficile da ottenere per uno straniero senza background nel paese. Al di là dell’aspetto strettamente lavorativo, Londra è una città cosmopolita, che offre tantissimo dal punto di vista sia culturale che di divertimento. I due maggiori problemi sono il meteo e il costo della vita molto alto, ma ci si deve adattare!
Molte persone entrano prima in investment banking per poi spostarsi in private equity (PE). Pensi che sia possibile e altrettanto – se non più – formativo entrare direttamente in PE?
Entrare direttamente in PE è molto difficile. Questo perché si tratta di organizzazioni snelle e meno strutturate di banche di investimento o società di consulenza, che non hanno il tempo e le risorse per formare professionalità “da zero”. Vengono selezionate figure che hanno già lavorato in un ambiente correlato, possono inserirsi velocemente e sono in grado di apportare da subito un contributo al fondo. Vorrei sottolineare che per chi ha l’obbiettivo di entrare in PE fare qualche anno di “palestra” in banca o in consulenza non è assolutamente un male: entrambi sono contesti estremamente formativi, soprattutto per un neo-leaureato. In private equity, da junior si ha ovviamente il tempo e l’opportunità di imparare il lavoro sul campo, ma ci sono delle competenze che vengono date per scontate e senza le quali si è di intralcio agli “ingranaggi” dell’organizzazione.
Che background hanno le persone più interessanti con cui lavori? E perché pensi che quel determinato percorso le renda di successo nel tuo campo?
La stragrande maggioranza delle persone in BC Partners e in generale in private equity ha lavorato precedentemente in investment banking, consulenza e/o altri fondi di investimento. Quasi tutti hanno un background accademico di tipo economico, scientifico o ingegneristico e alcuni hanno anche conseguito un MBA. Alla prova dei fatti, le persone con questa esperienza hanno una maggiore probabilità di avere le competenze giuste per eccellere nel mondo del private equity.
A seconda del percorso professionale di partenza, all’inizio si hanno tipicamente punti di forza differenti. Ad esempio, l’ex consulente è generalmente più ferrato dal punto di vista del “business judgement”, e ha più esperienza nell’analizzare le dinamiche di mercato e il modello di business delle aziende; d’altro canto, l’ex investment banker è di solito più allenato nel financial modelling e nella valutazione. Col tempo, tuttavia, un private equity professional di successo deve diventare un esperto in tutti questi campi. Altrettanto determinanti sono le “soft skills”: la capacità di relazionarsi e creare empatia con le persone e quella di leggere le situazioni prima e meglio di altri sono qualità vincenti.
Perchè, secondo te, oggi – e nel prossimo futuro – uno studente dovrebbe considerare di lavorare in Private Equity?
A mio parere il private equity rappresenta, nell’ambito della finanza, uno degli apici a livello di opportunità di apprendimento – le attività svolte nel quotidiano sono molto varie, stimolanti e più difficilmente accessibili all’inizio in altri lavori. Ad esempio, anche da junior si viene in contatto con imprenditori e dirigenti di successo: di frequente il team incontra i top manager di società potenzialmente da acquisire e lavora insieme vari senior advisor per valutare meriti e rischi di tali acquisizioni; ciò dà la possibilità di incontrare personalità affascinanti, assorbire le loro idee e la loro storia, e di imparare tantissimo. Inoltre, nei processi di due diligence per un’acquisizione si viene coinvolti e si diventa via via più ferrati in svariati campi: da quello commerciale e operativo a quello finanziario, da quello legale a quello fiscale.
Un altro privilegio unico è quello di lavorare con le società che il fondo ha in portafoglio: da proprietario, il fondo di private equity ha una visione esclusiva dell’azienda e contribuisce a creare valore per essa e per i suoi stakeholder dal momento dell’acquisizione all’exit, lungo tutta la vita dell’investimento. Infine, un professionista che decide di lasciare il mondo del private equity può vantare una formazione molto completa e un’importante piattaforma di contatti, qualsiasi altra strada scelga di intraprendere.
C’è un compito/incarico di cui non ti saresti mai aspettato di doverti occupare in PE? Come l’hai affrontato e quali competenze e capacità ti hanno permesso di avere successo?
Appena assunto, fui incaricato di lavorare sulla potenziale acquisizione di una società nel settore retail. Tra le altre cose, mi venne affidato il compito di compiere le cosiddette “store visits” in alcuni negozi campione di questa azienda: in sintesi, si entra nel negozio nei panni di un anonimo cliente e si analizza, per esempio, la qualità e il layout del negozio, l’esposizione della merce, la politica dei prezzi, eccetera – tutti elementi critici per capire se lo “store concept” funziona ed è sostenibile. Io ero l’unico a rappresentare BC Partners durante tali visite, affiancato solamente da un senior executive esterno da noi ingaggiato come consulente. È stata un’esperienza unica: io ero arrivato a BC Partners da solo poche settimane e ho passato giornate intere con un top manager che, invece, ha alle spalle più di trent’anni di esperienza.
Nel quotidiano, nessun ostacolo è insormontabile, ma si è investiti di notevoli responsabilità da subito, per cui servono forte motivazione e una buona dose di “common sense”. Spirito di iniziativa, capacità di lavorare in autonomia e abilità di pensare “out of the box” sono altri tratti che permettono di emergere.
Fai un paragone tra la tua “giornata tipo” di adesso e quella di quando lavoravi per una banca di investimento
In generale ho più controllo sulla mia agenda quotidiana. Innanzitutto, dal momento che il fondo agisce come “principal” (invece che come advisor di un altro soggetto), prende decisioni in totale autonomia, non fa “pitching” e non deve rispettare le scadenze di un cliente – il che per un junior significa meno pressione da deadline. In secondo luogo, il focus è sull’analisi necessaria a valutare l’investimento, con meno dispendio di tempo su output a basso valore aggiunto o sul loro aspetto grafico.
Sebbene la situazione vari molto da fondo a fondo, essere in ufficio dopo cena o durante il week-end non è la norma, il che rende più semplice organizzare una cena con gli amici, fare sport, e dedicarsi alle attività che si amano. Detto ciò, durante le “fasi calde” di un progetto (come nel caso della preparazione di un memorandum per il comitato di investimento), si è sottoposti a tanta pressione e a lunghe giornate (e nottate) in ufficio. Questi periodi, però, sono meno frequenti che da Analista/Associato in investment banking.
Il miglior consiglio che hai ricevuto e che metti in pratica nel tuo lavoro quotidiano e che ti senti di lasciare ai nostri mentee
In quasi tutti i lavori la componente sociale è fondamentale: lavoriamo, prima di tutto, con altre persone, e se queste persone ci apprezzano e sono contente di interagire con noi nel quotidiano, le nostre probabilità di successo aumentano esponenzialmente. Per cui il semplice consiglio che mi sento di lasciare – e che ritengo sia anche non troppo difficile da mettere in pratica se si apprezza il proprio lavoro – è quello di mostrare sempre entusiasmo e, soprattutto, di non perdere il sorriso anche di fronte alle avversità. A prescindere dalle vostre altre capacità, questo vi aiuterà a essere percepiti come una forza positiva nell’ambiente di lavoro e come un elemento da avere nel team, con conseguenti benefici a livello di interazione sociale e crescita nell’organizzazione.
Marco Strizzi
Associate presso BC Partners e Mentor Mentors4u

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