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Il Potere della Diversità: intervista a Iacopo Lorenzo Pazzi, Executive Vice President in Amplifon

di Giulia Rusconi | Team Editoriale Mentors4u

Il nostro Senior Mentor racconta il percorso che l'ha portato dall'ingegneria chimica al marketing,
dall'Italia all'Africa per poi tornare in qualità di Executive Vice President per l'Europa, Medio
Oriente e Asia, in Amplifon.
 

  • Iacopo, cosa ti ha portato, dopo una laurea in Ingegneria chimica, ad avviare la tua carriera in una multinazionale come P&G?
Nella vita ci sono opportunità che ti portano in direzioni che non ti saresti mai aspettato.
Una volta laureato, avevo offerte di lavoro prevalentemente da parte di aziende del settore petrolifero e chimico, finché non mi si è presentata un’opportunità al di fuori dello studio canonico.
In facoltà era venuta Procter & Gamble (P&G) per una presentazione aziendale, ed essendo una persona curiosa per natura, l’idea di lavorare con i consumatori, capire i loro bisogni ed inventare prodotti nuovi mi era sembrata subito affascinante. Sono quindi entrato nel team di Ricerca e Sviluppo, in una divisione che si occupava di technical marketing. Lavorando poi tutti i giorni con il marketing strategico, ho scoperto questo settore ed ho deciso di cambiare reparto.

 
  • Nel momento in cui hai deciso di entrare in P&G eri già a conoscenza delle possibilità di mobility e di crescita professionale che offre una multinazionale?
No. 20 anni fa eravamo più ingenui, ora i giovani hanno accesso a molte più informazioni sui percorsi di carriera e sulle aziende. Io ero rimasto colpito dalle persone che avevano presentato P&G in facoltà, e ho deciso di provare.
Alla fine ho scoperto quello che le multinazionali possono offrire, cioè uno sviluppo di carriera eccezionale grazie ad un grande investimento sulla formazione, grandi responsabilità fin dai primi anni di carriera, e la possibilità di muoversi a livello internazionale.

 
  • Italia, Svizzera, Italia, Kenya per poi riapprodare in terra natia. Che cosa ti ha regalato l’esperienza all’estero dal punto di vista professionale e umano?
Quello che ti offre un’esperienza all’estero è la ricchezza e il potere della diversità. Parlo innanzitutto della diversità di business; lavorare in Africa è molto diverso dal fare business in Europa, e ti permette di confrontarti con problematiche sempre nuove e stimolanti. C’è poi la diversità culturale, che ti insegna ad ottenere il massimo da persone con background e profili completamente diversi dal tuo; questo aspetto è quello che più ha contribuito alla mia crescita personale e professionale. Inoltre lo spostamento all’estero mi ha permesso di assumere incarichi diversi tra di loro, passando da ruoli di mercato, più operativi, a ruoli corporate, quindi più strategici. La possibilità di vivere in un luogo diverso mi ha enormemente arricchito a livello personale. È una fortuna che va presa al volo quando si presenta.
 
  • Come hai coniugato questi impegni con la vita familiare?
Non è sempre facile trovare un equilibrio tra professione e famiglia. Innanzitutto è fondamentale coniugare le aspirazioni personali e professionali di entrambi i partner; nel nostro caso è stato più facile, visto che anche mia moglie lavorava in P&G e l’azienda aveva una policy di “dual-career” che permetteva di rilocare i coniugi dando opportunità di carriera ad entrambi. Ma mi rendo conto che è stata una situazione eccezionale. La cosa importante è avere massima chiarezza e trasparenza tra i partner ed essere convinti che tale esperienza non contribuirà solo allo sviluppo professionale di uno dei due, ma sarà soprattutto un’esperienza di vita unica per tutta la famiglia.
 
  • Dal 2016 ricopri il ruolo Executive Vice President of EMEA in Amplifon. Com’è stato il tuo rientro nel mondo del lavoro in Italia?
È stato semplice perché ho trovato un’azienda con una cultura e visione del business, e dell’organizzazione, simile alla mia e vicina alle mie esperienze precedenti. Questo è stato proprio uno dei motivi per scegliere Amplifon. Ero molto contento di iniziare a lavorare per la prima volta in un’azienda italiana, e le mie aspettative sono state pienamente soddisfatte. E’ stato meno facile passare dalla realtà africana a quella italiana. 
Sono passato da un contesto economico e culturale in rapido sviluppo ed estremament e dinamico, ad una realtà sicuramente più consolidata.A volte colgo in Italia un pessimismo a mio modo di vedere esagerato. Ritengo infatti che il nostro paese abbia ancora grandi potenzialità inespresse, che rappresentano un vantaggio rispetto a tanti altri paesi. Ho molta fiducia nel futuro dell’Italia, e sono contento di essere qui in questo momento.

 
  • Secondo recenti sondaggi i giovani di oggi pensano che le maggiori pecche nel mondo del lavoro in Italia siano oltre alla difficoltà di trovare un’occupazione, il basso livello di retribuzione e le scarse possibilità di crescita professionale. Qual è la tua opinione in merito? 
Credo che questa opinione rifletta un po' l’immagine che noi trasmettiamo ai giovani, e di questo me ne dispiaccio. L’Italia ha tante realtà che possono offrire una buona prospettiva di crescita e rappresentare delle ottime palestre manageriali e tecniche per i giovani che iniziano a lavorare. A mio avviso è importante scegliere un lavoro in funzione di quello che si può imparare, la cosiddetta curva di apprendimento, ed impegnarsi al massimo. Poi crescita professionale e retribuzione seguiranno. Se una persona è in gamba e ha voglia di fare, il nostro paese offre molte opportunità. Bisogna crederci, avere tanta energia e determinazione.
 
  • In Italia c’è la convinzione che gli studi percorsi siano determinanti per la propria carriera. All’estero, soprattutto nei paesi anglosassoni, studiare quello che appassiona non rappresenta un limite al lavoro che si vuole intraprendere. Cosa ne pensa e quale consiglio darebbe a chi è interessato a opportunità di lavoro lontane dai propri studi?
Quello che ho notato anche io all’estero è che si valorizzano di più le capacità interpersonali e il talento rispetto al background accademico. A meno che uno non scelga una professione molto tecnica, tanti lavori di oggi hanno una componente enorme della performance legata alle skills personali. Molte componenti tecniche di una professione possono essere apprese sul posto di lavoro, ma se mancano skills come la leadership, la capacità di comunicare in maniera efficace e di lavorare in gruppo, è difficile avere successo. In Italia si dà ancora molto valore al background tecnico/accademico, e un po’ meno al profilo attitudinale. Credo che sia un’area su cui dobbiamo crescere, e penso che succederà velocemente; molti manager Italiani hanno fatto esperienze all’estero, in grandi multinazionali, e questo contribuirà a modernizzare la cultura manageriale del nostro paese. Consiglio quindi agli studenti di individuare i propri interessi, talenti e punti di forza, e puntare su quelli.
 
  • Perchè ha deciso di diventare senior mentor e quali sono i consigli che vuoi dare ai nostri mentee?
In P&G il mentor era una figura istituzionale. Non era un career sponsor, oppure un manager diretto, ma piuttosto una persona fidata sempre a disposizione per dare un consiglio, un punto di vista, sul business e sulla carriera. Ho trovato molto affascinante la possibilità di estendere questo ruolo oltre l’azienda, e poter aiutare i giovani ad esprimere pienamente il proprio talento. Penso anche che sia giusto da parte mia dare indietro un po' di quello che ho ricevuto in tanti anni di lavoro. Non solo è un piacere, ma credo che sia anche un obbligo che ognuno di noi dovrebbe sentire.
Un ultimo suggerimento che vorrei dare è quello di non autolimitarsi, di non crearsi barriere da soli e di non pensare che le proprie aspirazioni siano impossibili da raggiungere. Se si è determinati, alla fine le cose arrivano. Non bisogna demordere, ed è un bene avere un mentor che possa darti qualche consiglio per rimanere nella direzione giusta.

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