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L’importanza di conoscere sé stessi per la scelta universitaria

di Lucia Marsura | Volontario Progetto Superiori M4U

“Cosa vorresti fare da grande?”, “Cosa fai nel tempo libero?”. Quante volte ce lo hanno chiesto da piccoli, quante volte abbiamo banalizzato le risposte da adolescenti, quante volte, ci siamo o ci stiamo chiedendo se veramente lo abbiamo compreso, da un po’ meno adolescenti.

Sin dalla tenera età riceviamo impulsi esterni e iniziamo a crearci i nostri “idoli”, i nostri modelli da perseguire che con il tempo evolvono: dai personaggi di favole e fiabe (che ahimè pochi forse oggi perseguiranno), a quelli di cartoni animati, dagli attori di film alle serie televisive, dagli sportivi ai cantanti, dagli imprenditori ai professionisti. Ma perché diventa il mio modello? Perché è il mio idolo? Perché in fondo è qualcosa che stimo. Se stimo qualcosa è perché ambisco a diventare quella figura. L’ambizione fa scaturire la voglia di “fare”, declinata in mille possibili sfaccettature: studiare, provare, diventare, inventare, reinventare, migliorare. Il modello è un obiettivo. L’obiettivo è fonte di stimolo. 

La società occidentale è pervasa di stimoli. La crescita progressiva è accompagnata da un intensificarsi di input che assorbiamo tramite il nostro rapporto con il mondo esterno, con le tecnologie, con nuove persone, con nuove idee, con nuove tendenze. Questo tornado di input però, a volte, ci può indurre inconsciamente in confusione non facendoci più distinguere pienamente cosa ci piace e cosa non ci piace. O meglio: ci siamo mai chiesti se qualcosa ci piace veramente, oppure ci piace, perché piace alla “maggior parte”? Viviamo in un contesto sociale e come tale dobbiamo essere accettati dallo stesso. “Noi non nasciamo con un’identità, ma l’identità è un dono sociale” afferma Galimberti. Sono gli altri che ci attribuiscono un’identità. Bisogna, dunque, fare attenzione che il percorso di ricerca dell’altrui riconoscimento, sia esso generalmente inteso come l’approvazione, o meglio la stima, da parte della società, non ci induca nel tempo a scelte non adatte a noi. In fasi cruciali della vita, come ad esempio la scelta universitaria o del primo ambiente lavorativo, nonostante non siano scelte irreversibili, ma importanti, è giusto, da un lato, farsi consigliare da chi ha più esperienza di noi, e, dall’altro, considerare le opportunità professionali attuali e prospettiche che offre il mercato. Però è giusto anche non dimenticarsi chi siamo, cosa ci piace fare e in che cosa siamo bravi. 

Qual è il mio sport preferito: nuoto, basket o corsa? Qual è il mio hobby preferito: cucinare, dipingere o suonare? Qual è la materia scolastica preferita? Che news ascolto? Che libri leggo? Che associazioni frequento? Cosa apprezzano gli altri in me? Le risposte a queste domande riflettono alcuni aspetti del nostro carattere. Non siamo tutti uguali. Non tutti eccelliamo nelle medesime discipline. Non tutti nasciamo per svolgere lo stesso lavoro. 

Dovremmo attribuire la giusta dose di importanza a comprendere come utilizziamo il nostro bene più prezioso, il tempo, quando scappiamo dai “doveri” che per un ragazzo si possono concretizzare nel dovere scolastico. Dovremmo imparare a unire l’utile al dilettevole. Dovremmo forse agire un po’ così per raggiungere il famoso “Scegli il lavoro che ami e non lavorerai neppure un giorno in tutta la tua vita.” Ci può sembrare un po’ utopico, perché sia lavorare che studiare richiedono fatica, ma se riusciremo a far combaciare il dovere con le nostre sensibilità, forse riusciremo ad alzarci dal letto ogni giorno, con la forza di diventare ciò che vogliamo diventare. “Volli, sempre volli, fortissimamente volli”: che sia questo il nostro mantra, dettato da una consapevolezza di sé stessi.  

È bene non dimenticarsi le risposte alle due banali domande, perché li risiedono i primi sintomi delle nostre passioni.


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