Il cambio di città è stato dettato sia da motivi strettamente logistici, sia dalla mia voglia di cambiare. La laurea magistrale a Firenze aveva parte delle lezioni ad Empoli, e di fatto risultava quasi impraticabile per me raggiungere la sede dal mio paese natale. Infatti molti miei compagni della triennale decisero di spostarsi a Bologna. Questo non è comunque stato il motivo determinante: ho scelto il Polimi sia perché mi permetteva di costruire un percorso formativo con la massima libertà, consentendomi di spostare il mio focus dall’ingegneria industriale alla finanza mantenendo comunque un approccio ingegneristico, sia perché avevo voglia di vivere una realtà quotidiana diversa. Credo che vedere e vivere posti diversi sia non solo un modo di imparare cose nuove, ma anche una spinta ad apprezzare di più ciò che si ha. La mia famiglia stata sicuramente di supporto, ma ho anche avuto la fortuna che il mio miglior amico, che studiava tutt’altro, avesse optato per continuare gli studi alla Cattolica, quindi sono riuscito a portare con me un pezzo della mia vita in Toscana che sicuramente è stato di grande aiuto nei momenti complicati.
Durante l’MBA sei stato in scambio a Melbourne, cosa, dalle abitudini, dalla mentalità, dagli usi dell’altro capo del mondo hai fatto tua e ti è stata utile?
Melbourne è stata più volte proclamata “città più vivibile del mondo” e abitandola per un po’ si può capire il perché: pur essendo una vera metropoli, con circa 5 milioni di abitanti, quindi decisamente più popolosa di Milano, è organizzata sia urbanisticamente sia socialmente per facilitare una vita equilibrata. Ad esempio, io vivevo in pieno centro, ma in 15 minuti di corsa mi ritrovavo a poter camminare per chilometri di spiagge libere (cosa impensabile in Italia, dove le spiagge sono riempite di cemento) con un panorama urbano rispettoso dell’ambiente e pensato per far godere a tutti la natura del posto. Inoltre, nel “cbd” (la parte più centrale della città) tutti i mezzi di trasporto pubblici sono completamente gratuiti, con l’effetto duplice di fare un favore ai turisti e di ridurre significativamente il traffico cittadino, che nonostante la popolosità della città è largamente meno impattante di quanto non sia a Milano e Roma. In generale l’ambiente è più rilassato che da noi, un po’ per la mentalità australiana comunque votata al “godersi la vita” un po’ perché l’Australia dispone di risorse ingenti e di una crescita economica rilevante rispetto al panorama mondiale (anche se le cose stanno cambiando).
Traslato nel mondo del lavoro, quando si entra in contatto con realtà nuove, professionalmente e umanamente parlando bisogna ricordarsi? Come gli input esterni, le novità, possono farci crescere anche quando sono impreviste e non particolarmente gradite?
Quando si lavora in contesti nuovi penso sia importante mantenere un corretto equilibrio fra rispetto degli altri e rispetto di sé stessi. È facile esagerare in un senso o nell’altro, sminuendosi per compiacere qualcuno o al contrario diventando arroganti nel tentativo di farsi valere. Talvolta ci si dimentica che si tratta pur sempre di rapporti tra persone in carne ed ossa, e che il rispetto deve essere sempre un valore “simmetrico” tra le parti, perché attiene alla sfera personale e sociale ben prima che a quella lavorativa. Quando si parla di novità, magari non gradite, io non sono affatto un sostenitore del “pensiero positivo”, perlomeno nella sua accezione di accettazione acritica finalizzata a reprimere i sentimenti negativi; penso anzi che tale repressione sia estremamente deleteria nel lungo termine, poiché le frustrazioni devono trovare un canale di sfogo prima che degenerino in un burnout. Per questo motivo penso che i sentimenti negativi non vadano semplicemente rimossi ma trasformati in “carburante” per canalizzare la nostra energia sugli obiettivi che abbiamo in mente; questo è il modo in cui penso sia giusto affrontare e interpretare le situazioni più spiacevoli e ingiuste. I sentimenti negativi sono molto “potenti”, esattamente come quelli positivi, solo che richiedono di essere maneggiati con cura: sta quindi a noi essere così bravi da usare questa potenza in modo appropriato.
Perché conseguire un MBA? A chi lo consiglieresti?
Col progredire del livello di specializzazione del lavoro, la creazione di sempre nuove nicchie di mercato e la frammentazione delle mansioni, a volte una laurea magistrale è insufficiente per avere un punto d’osservazione privilegiato nel mondo del lavoro, almeno nell’ambito di una carriera con ambizioni manageriali. Un MBA può essere d’aiuto in questo senso, oltre a rappresentare un'enorme risorsa in termini di condivisione di esperienze. Inoltre, collocandosi generalmente a circa 5 anni di distanza dal conseguimento della laurea, è un ottimo modo per rimettere il cervello in modalità “studio” dopo anni passati a lavorare. In termini di esperienze pregresse, consiglio senz’altro l’MBA a coloro che non hanno un curriculum di studi orientato al business e a coloro che ricercano un ambiente internazionale. In generale, può rappresentare anche un'ottima occasione per riflettere su sé stessi, poiché delinea un momento di discontinuità difficilmente replicabile quando si lavora full time, specialmente per quei profili che vengono da esperienze lavorative che intrinsecamente assorbono molto tempo ed energie mentali come la consulenza, l’investment banking o il private equity.
Da quando hai iniziato a lavorare, qual è il momento che ricordi con maggior piacere? Qual è stato quello più difficoltoso?
Quando ho dormito in tre alberghi diversi, in uno dei quali, dopo aver fatto check-in a mezzanotte (tornando dalla Germania), mi sono ritrovato all’una di notte a registrare la videointervista per l’application che sarebbe scaduta il giorno stesso. Se non altro, ero già in giacca e cravatta!