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Intervista a Chiara De Bortoli, Mentor M4U e Vice President, Private Equity @ Warburg Pincus LLC

di Team Editoriale | M4U

Chiara De Bortoli è basata a Londra, dove lavora come Vice President a Warburg Pincus, uno dei più grandi fondi di growth equity al mondo con oltre $85 miliardi di AuM, e si occupa di investimenti nel settore tecnologico. Chiara ha cominciato la sua carriera in Private Equity da Blackstone più di 7 anni fa, ed in precedenza ha completato internships da Goldman Sachs, Bain & Company e Procter & Gamble. Chiara si è laureata con lode all’ Università Bocconi ed ha conseguito un Master in Management all’Università HEC Paris.

Il tuo percorso è contraddistinto dalla tua esperienza nel mondo degli investimenti: come hai scoperto questa tua passione tramutatasi in lavoro?

Durante il Master, ho fatto due internships (una in investment banking e l’altra in consulenza) dove ho avuto la fortuna di lavorare con diversi fondi di Private Equity su vari progetti: commercial due diligence, piani industriali, acquisizioni strategiche, IPO. Ho scoperto così la mia passione per il lavoro di investitore e l’interesse a lavorare a stretto contatto con le aziende in portafoglio per portare avanti piani di trasformazione e di creazione di valore. Grazie all’esperienza positiva delle mie internship ed a tanto duro lavoro, sono riuscita a cominciare direttamente in private equity come primo graduate job dopo l’Università.

Quali sono stati i riferimenti che ti hanno aiutato nel tempo nelle scelte e nell’impostare studi e primi passi professionali?

Avere dei mentor con 3-5 anni di esperienza in più aiuta in modo significativo a navigare quella marea di scelte che contraddistinguono gli anni dell’Università ed i primi anni di carriera – se a 24 anni abbiamo un dubbio su quale direzione di carriera prendere, molto probabilmente qualcun’altro ci è passato prima di noi ed è capace di consigliarci! Il duro lavoro (all’Università, durante le internships, durante i primi anni di carriera e nel lungo termine) è comunque insostituibile, non importa quanto ben consigliati e ben connessi si sia. Il private equity è un ambiente molto meritocratico, secondo la mia esperienza.

ll private equity in che modo è considerabile uno strumento utile alle aziende per uscire dalla loro comfort zone?

Assolutamente. Esiste ancora in certi paesi ed in certe comunità lo stereotipo del private equity che sminuisce la componente umana di un’azienda e prende rischi esagerati (come ad esempio l’uso di troppo debito per finanziare l’acquisizione dell’azienda) a favore di più profitti nel breve termine. Questo è quanto di più lontano dalla mia esperienza – come investitori, il nostro obiettivo è creare valore di lungo termine, spesso tramite un piano di trasformazione strategico importante che ci terrà impegnati per anni, volto ad espandere le attività delle nostre aziende con nuovi prodotti e nuovi mercati tramite una gestione professionale e reponsabile dove il management è potenziato, non sminuito. Ho lavorato con diversi management teams di aziende che sono passate da una proprietà e gestione familiare ad una di private equity e la lora esperienza è stata generalmente molto positiva, grazie alla cultura meritocratica e ad alta prestazione che contraddistingue il private equity, ed al confronto con persone molto intelligenti, equilibrate e con tanta esperienza.

Ti sei mai trovata in una situazione di stallo dalla quale non riuscivi a tirarti fuori per mancanza di spinta, voglia di novità o semplicemente perché ti sentivi troppo a tuo agio?

Certo, succede a tutti prima o poi – a me personalmente è capitato quando mi sono voluta chiedere se questa è la carriera giusta per me nel lungo termine - dopotutto questa professione è molto esigente a livello di tempo e richiede molta devozione, quindi è necessario amarla per andare avanti e superare i momenti difficili! 

Quello che mi ha aiutata a rispondere a questi dubbi è stato pensare a tutte le cose positive che questa professione ti offre – per me, in primo luogo, è l’opportunità di lavorare con persone molto intelligenti, dotate ed ambiziose, da cui posso imparare molto. L’idea di non voler deludere il mio team mi ha sempre fatto trovare la forza di fare un buon lavoro e dare il meglio di me – penso questo succeda in poche professioni quindi mi ritengo molto previlegiata.

Di conseguenza, penso sia importante imparare a «give back»: offrire mentorship a chi è più giovane, e soprattutto a profili di persone provenienti da contesti socio-economici piu svantaggiati del nostro è importante per contribuire a sviluppare il futuro del nostro settore e nel garantire l’abilità di rappresentare qualsiasi tipo di azienda e di comunità.

Se potessi scegliere tre aggettivi per definire la tua attività quotidiana, per quali opteresti? A quali profili consiglieresti la tua professione?​

La mia attività quotidiana può essere descritta come stimolante, intellettualmente impegnativa ed orientata al risolvere problemi quotidiani prendendo decisioni piccole e grandi. 

Consiglio questa professione a persone che sono curiose, ambiziose, perseveranti. Inoltre, avere una forte intelligenza emotiva è importante visto che una delle doti più differenzianti di questo lavoro è saper avere a che fare con imprenditori e management teams e convincerli del fatto che noi siamo il partner giusto con cui collaborare per creare valore e portare la loro azienda ad un livello di successo tutto nuovo. Bisogna inoltre ricordarsi che questa professione è una maratona, non uno sprint – quindi una buona dose di pazienza è necessaria per avere successo nel lungo termine.


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