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Di cosa parliamo quando parliamo di professionalità? L’intervista a Michele Rozzi, Mentor M4U & Director @ PSG

di Team Editoriale | M4U

Michele è Director presso PSG Equity a Londra, un fondo di growth Private Equity che investe in società di software B2B SaaS. Prima è stato Head of New Business Development presso ION Analytics, e COO Global Sales da Argus Media. Ha iniziato la sua carriera nel mondo SaaS presso Salesforce a Londra nel 2014. Il suo primo lavoro dopo l’università è stato come consulente da McKinsey & Company a Milano. Ha conseguito un MBA a Stern School of Business, presso la New York University. Ha una laurea magistrale in fisica nucleare e subnucleare presso l’università di Bologna.

Da quale momento del suo percorso si considera un lavoratore/una lavoratrice un/una professionista?

Considero “professionista” una persona dal momento in cui prende in carico un lavoro. Sicuramente vale per quando si ha un contratto stabile, nel caso del lavoratore dipendente, ma non solo. Ha senso pensare di lavorare professionalmente sempre: in stage, quando si ha un contratto a termine, per un lavoratore a partita IVA, un imprenditore e così via. 

In un certo senso, è responsabilità della persona che lavora costruirsi la propria professionalità. Questo è un lavoro che comincia subito e va[SE1]  avanti continuamente. Per questo, se fossi una persona che sta entrando nel mondo del lavoro, mi porrei da subito la domanda di cosa significa essere professionale per me e come fare per diventarlo in ogni cosa che faccio.

Tu quando hai iniziato a considerarti un professionista? In cosa ti sei reso conto di essere “cresciuto”?

In parte già da quando ho fatto gli stage all’università. Del tutto dal mio primo lavoro dopo la laurea. Lì mi sono reso conto di aver costruito le basi della mia professionalità futura. Quando ho visto un ciclo positivo in cui completavo i compiti che avevo e ricevevo ulteriori responsabilità dal team di cui facevo parte ho capito di essere cresciuto e ho preso più fiducia.

Nel tuo percorso quali sono stati i tuoi riferimenti di ispirazione e crescita che hanno influito nel farti diventare il professionista che sei oggi?

I miei colleghi hanno influito molto sulla mia crescita. In particolare, ho avuto la fortuna di avere diversi colleghi che sono stati role model per me in tutte le aziende in cui ho lavorato. Di loro ho apprezzato aspetti diversi e ho preso ispirazione per il professionista che sarei voluto diventare. Il fatto di vederli all’opera nel quotidiano è stato un modo per imparare sul lavoro incredibilmente efficace per me. 

Ci sono stati anche molti clienti che mi hanno fornito spunti interessanti. Vedendo i problemi che affrontavano, mi hanno aiutato a orientare le mie preferenze su settori industriali e funzioni aziendali. 

Infine, lavorare con i manager delle aziende del nostro portfolio come investitore mi ha consentito di dare più profondità a cosa voglia dire gestire in prima persona un’azienda e farla crescere in modo ambizioso.

Nell’ambito di un rapporto di Mentoring, quali sono gli errori da evitare per non dimostrarsi professionali da entrambe le parti coinvolti?

Il Mentoring è un’opportunità di creare un rapporto tra due persone. Nei casi migliori, questo è proficuo per entrambi. Certo, però, che il Mentee è spesso quello che può trarre i maggiori benefici, data la natura del legame. 

Questa opportunità ha bisogno di essere abbracciata da entrambi, a partire dal Mentee. Richiede curiosità e la disponibilità ad aprirsi e a investire per creare una nuova relazione con il Mentor. Questa è la formula del Mentoring e parla della necessità di una certa forma mentis. Per esempio, è utile non essere difensivi e anche cercare di capire il perché di un punto di vista del Mentor diverso dal proprio. Oppure è utile essere proattivi per fissare i meeting. Specialmente nel primo anno del Mentoring, è importante trovare il tempo per dare seguito alle conversazioni, per instaurare un dialogo continuativo. In generale, è buono che sia Mentor che Mentee si presentino all’incontro con curiosità e con piena attenzione. Gli atteggiamenti che deviano da questa attitudine sono una minaccia strutturale alla riuscita del rapporto. 

Ci sono poi errori più di base, tipo non rispettare il tempo delle persone. Questo include, ad esempio, non rispondere alle email, non presentarsi a un meeting oppure presentarsi, ma avendo la mente altrove.

Come comportarsi quando si incontrano persone che di professionalità ne dimostrano poca e rischiano di danneggiare anche il nostro operato?

Se non c’è rispetto o interesse, è meglio capire il perché. Se Mentor o Mentee sono in un periodo in cui non hanno tempo o energia da dedicare al rapporto, meglio metterlo in chiaro. Sarebbe utile concordare una data in cui riprendere i rapporti. Se la relazione tra Mentor e Mentee non decolla per mancanza di chimica, non c’è niente di male. In quel caso, può essere utile provare a cambiare l’accoppiamento.  Se, infine, Mentor o Mentee non sono interessati al Mentoring in quel periodo, è meglio mettere in pausa il proprio coinvolgimento nel programma.


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