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Definire il proprio "piano" facendosi aiutare da un Mentor

di Team Editoriale | M4U

Piemontese classe 1991, dopo un percorso di doppia laurea in Management Engineering presso il Politecnico di Torino e la UPC di Barcellona mi trasferisco a Milano per prendere parte al Graduate Program di Vodafone. Trascorsi un paio d’anni decido di seguire il richiamo della consulenza ed inizio la mia avventura in Bain & Company, inizialmente tra Milano e Roma, per poi trasferirmi presso l’ufficio svizzero di Zurigo, dove attualmente ricopro il ruolo di Consultant.
 

Cosa ti ha spinto a diventare Mentor? Come definiresti il “Mentoring” in poche parole?
Il mondo di oggi offre una serie pressoché infinita di opportunità alla portata di tutti, indipendentemente dal proprio background culturale - sociale di provenienza. Se da un lato questo rappresenta un indubbio vantaggio rispetto alle vecchie generazioni, dall’altro costituisce un fattore di notevole complessità nel trovare e seguire un proprio percorso di crescita e sviluppo. “Fare carriera”: un’espressione abusata e spesso ricondotta a “cliché”, oggi sottende in realtà un notevole cambiamento di paradigma. Rispetto al modello “elitario” del passato che, a fronte di un punto di partenza fortemente influenzato dal proprio background personale, offriva poche possibili deviazioni sul percorso, oggi le nuove generazioni si scontrano con percorsi esponenzialmente più complessi. In sostanza, “fare carriera” oggi significa sapersi districare con successo in una rete enorme di scelte da prendere, consapevoli che ciascuna condizionerà (spesso) irrimediabilmente il susseguirsi di quelle future.
Sovente mi chiedono (e mi son chiesto a mia volta) quale sia la strategia più efficace per costruirsi un percorso solido, coerente e di successo. La risposta? Avere un piano. È fondamentale sapersi porre degli obiettivi “dinamici” di breve, medio e lungo termine, “rimodulabili” in funzione del susseguirsi degli eventi e delle opportunità che, se ben analizzati e contestualizzati, costituiscono un potente strumento decisionale. È un concetto molto simile a quello di “answer first” utilizzato in consulenza: definisci da subito una direzione univoca da intraprendere e sii pronto ad apportare le dovute correzioni lungo la rotta, a mano a mano che si acquisiscono nuove informazioni ed evidenze analitiche.
In sintesi, essere Mentor significa assumersi in prima persona la responsabilità di aiutare persone sveglie e promettenti a definire il loro “piano”, a trasmettere un approccio vincente per districarsi in una tanto complessa quanto incredibile rete di opportunità. Il mentoring è inoltre un’esperienza fortemente arricchente anche per il Mentor e, personalmente, mi ha aiutato ad affinare alcuni meccanismi di interazione con i colleghi più “junior” fondamentali per la gestione e lo sviluppo dei team.
 
Corporate VS Consulenza: quali sono a tuo parere le caratteristiche trasversali che permettono di inserirsi in maniera vincente in entrambi i settori?
Nel corso di questi anni vissuti su entrambi i “fronti” ho osservato diverse caratteristiche che accomunano profili di interesse per la consulenza ad altri inseriti con successo in ambito corporate; mi soffermerò sulle tre principali:
1.     Ambizione – un tratto fondamentale per affermarsi in qualsiasi ambiente è dimostrare, con i fatti, la capacità di migliorarsi ogni giorno. Come dicevo, è fondamentale avere sempre ben chiari gli obiettivi che si stanno perseguendo: solo così è possibile valorizzare ogni task come un ulteriore passo in avanti nel proprio percorso di crescita. Condividere i propri obiettivi con l’azienda (capo ed HR in primis) consente di definire le aspettative in modo chiaro e univoco, nonché di tracciare insieme un percorso di crescita coerente, strutturato e soprattutto condiviso.
2.     Delivery – l’orientamento al risultato è una caratteristica che accomuna il 100% dei “top performer” sia in consulenza che in corporate. È importante affermarsi come “deliveratori seriali”, combinando capacità di problem solving e pensiero laterale ad una buona organizzazione del proprio lavoro, per assicurare output di qualità nel rispetto delle tempistiche richieste (spesso molto ristrette).
3.     Networking – la consulenza è un ambiente gerarchico e “politico” (un aspetto, quest’ultimo, che la accomuna a molte large corporate): è fondamentale sapersi creare e mantenere una buona rete di relazioni e “sponsor” a tutti i livelli. Da un caffè in area break si possono generare moltissime opportunità, e questo è vero soprattutto in ambito corporate, dove i percorsi di crescita sono meno standard rispetto alla consulenza (in cui prevale, passato un certo livello di seniority, il concetto di “affiliazione” ad una practice, anch’essa sviluppabile in modo efficace attraverso una buona rete di relazioni con Partner e figure senior di riferimento).
 
In che modo la tua preparazione, la forma mentis da Ingegnere ti aiuta nella tua quotidianità lavorativa?
Un primo aspetto fondamentale da “ingegnere” che sicuramente mi ha aiutato molto nel mio percorso in consulenza è l’approccio strutturato al problem solving: sviluppare un pensiero laterale, trovare il modo di “aggirare” le complessità che costellano la strada verso la risoluzione del caso sono qualità che un buon consulente deve assolutamente possedere e saper applicare in molteplici contesti, per poter offrire soluzioni solide e “out of the box” al cliente. Un altro elemento importante è la capacità di sintesi: la matematica è, per definizione, uno strumento sintetico per descrivere aspetti complessi della realtà (dalla fisica alla microeconomia). Spesso ci si trova ad interloquire con clienti molto senior, con pochissimo tempo a disposizione da dedicare alle evidenze / raccomandazioni emerse dal lavoro svolto dal team in settimane (o mesi) di analisi: in queste situazioni la capacità focalizzare l’attenzione dell’interlocutore sui 2/3 elementi critici del problema è fondamentale per guidare il cliente verso la presa di decisioni che spesso hanno un profondo impatto su una o più direttrici strategiche dell’azienda. La sintesi non è un “dono” bensì una competenza che si sviluppa attraverso molto lavoro e dedizione (e parecchi errori). È bene pertanto iniziare ad esercitarsi fin da subito: ogni qualvolta ci si trovi a dover esporre un concetto relativamente complesso, bisogna interrogarsi su quali siano gli elementi davvero importanti da trasmettere, e compiere lo sforzo di esporli in modo chiaro ed efficace.
Un altro elemento di estremo valore del “mindset” tipicamente ingegneristico è sicuramente la capacità di strutturare un pensiero logico: distinguere in modo chiaro cause, effetti ed implicazioni, insieme ad una buona strategia espositiva sono il toolkit base per la costruzione di una “storyline” efficace, incisiva e soprattutto solida verso il cliente (interno o esterno).
 
Quali sono gli aspetti che prediligi del tuo lavoro? 
La consulenza è un lavoro davvero meraviglioso. Non lo dico in quanto “di parte”, ma perché ottengo ogni giorno la riprova di come questo mestiere non smetta mai di offrire occasioni di crescita uniche, non solo come professionista ma soprattutto come persona. Diversamente da quanto spesso accade in molte corporate, in consulenza ci si trova davvero tutti “sulla stessa barca”: il mio successo è legato a doppia mandata al contributo fornito da ciascun membro del team (sia esso il più junior degli Analyst o il più senior dei Partner), e viceversa. Questo determina un ambiente estremamente collaborativo o, in altre parole, “competitivo in modo sano”: il continuo confronto reciproco alimenta la crescita di tutti, ciascuno secondo seguendo la propria “curva”, con modalità differenti.
In consulenza non si “timbra un cartellino”, ma si lavora per risultati: questo significa che anche la gestione del proprio tempo (e di quello del team) è estremamente flessibile; certo, spesso è richiesto un “extra mile” (e relative ore piccole davanti al pc) ma, credetemi, gli sforzi saranno sempre ripagati in termini di crescita, riconoscimento personale, nuove opportunità. La consulenza è infatti un ambiente estremamente meritocratico (e democratico): a tutti vengono forniti i mezzi necessari per indirizzare la propria carriera, senza distinzioni. Ciò avviene spesso in modo totalmente inaspettato, tanto da dover rimettere profondamente in discussione il proprio “piano”. Esperienza personale: mi si è presentata l’opportunità di trasferirmi presso l’ufficio Bain in Svizzera e dopo una manciata di giorni mi son trovato con un contratto firmato, un biglietto di sola andata per Zurigo, una lingua da imparare “from scratch” ed una vita da ripianificare. Cosa c’è di più entusiasmante e motivante di potersi sempre mettere in discussione? Nulla, a mio avviso.
 
Potendo dare un consiglio alle/agli aspiranti Consulenti, quale sarebbe? ​
Consiglio #1 - Non prendete alla leggera la preparazione: diffidate di chi millanta di aver superato i colloqui in MBB “senza studiare, perché viene valutata la capacità di ragionare”. Ora, in alcuni casi sarà anche vero (i fenomeni esistono ovunque, e la consulenza senz’altro non fa eccezione): io cautelativamente consiglio a chiunque di strutturare un buon piano di preparazione che preveda un minimo di 3-4 settimane (in media 2-3 ore al giorno). Se possibile fatevi aiutare dal vostro Mentor (o da qualcuno con un po' di esperienza nel settore) per definire una roadmap quanto più in linea possibile con il vostro livello di partenza, facilmente identificabile svolgendo un rapido caso (non vi abbattete qualora dovesse risultare un disastro, è più che naturale nella quasi totalità dei casi). Non abbiate timore, se necessario, di chiedere un paio di settimane in più al vostro HR di riferimento se la data proposta per il colloquio vi sembra troppo “aggressiva” rispetto alla vostra roadmap. 
Consiglio #2 - Non esagerate con la preparazione: come dicevo, basta impostare un piano strutturato di alcune settimane, ed impegnarsi a seguirlo. Alla domanda “quando posso considerarmi pronto?”, la risposta è: quando la costruzione dell’approccio risulta naturale e non un disperato tentativo di “selezione, copia e incolla” di parti di framework standard. Consiglio di svolgere complessivamente almeno una decina di casi(bilanciando, per quanto possibile, il ruolo di intervistatore con quello di intervistato), possibilmente con almeno 2-3 diversi “sparring partner”. In ogni caso, ritengo sia pressoché inutile svolgere decine e decine di casi (a maggior ragione se questo dovesse allungare le tempistiche per sostenere i colloqui): la curva di apprendimento, una volta affrontato il muro iniziale (costituito generalmente dai primi 5-6 casi), si appiattisce molto rapidamente.
Consiglio “bonus” (per chi da “aspirante” diventerà un “vero” consulente): applicate quanto discusso finora con umiltà, dedizione e spirito di iniziativa, pronti a farvi guidare in questo percorso dai colleghi più senior con cui avrete occasione di lavorare. Ma soprattutto divertitevi, cercate e sfruttate al massimo tutte le opportunità che queste aziende uniche vi metteranno a disposizione (training, progetti internazionali, transfer, la lista è lunga). In bocca al lupo!
 

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