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Il Mentoring: un’opportunità per riflettere e capire meglio la nuova generazione

di Team Editoriale | M4U

Luigi Lannutti è Blended Finance Officer presso l’International Finance Corporation (IFC), che, parte del Gruppo Banca Mondiale, è la piú grande istituzione di sviluppo al mondo focalizzata sul settore privato. Forte di esperienze lavorative presso BNP Paribas e le Nazioni Unite, Luigi vince il concorso di Associate Expert indetto dal Governo Italiano e le Nazioni Unite e si trasferisce a Washington DC per lavorare inizialmente con la Banca Inter-Americana di Sviluppo e poi con l’IFC. In IFC Luigi ha svolto ruoli corporativi di gestione strategica e operativa (processi di gestione del budget corporativo di quasi due miliardi di dollari e di negoziazione per un’iniezione di capitale di cinque miliardi e mezzo con gli shareholders dell’IFC) e ruoli tecnici di supporto a progetti di investimento tramite strumenti finanziari innovativi che aiutino a catalizzare capitali privati in mercati complessi o nascenti. Luigi ha conesguito un Master in Ingegneria Gestionale presso il Politecnico di Milano e un MBA presso Georgetown University, ESADE Business School e la Fondazione Gétulio Vargas. Luigi ha un modo di vedere il mondo molto analitico e cerebrale, e ama filosofeggiare e leggere romanzi gialli (Agatha Christie rimane imbattibile nella sua classifica personale) e usufruire o fare dell’arte (senza pretese o capacitá…) per occupare anche le mani e non sempre e solo il cervello e gli occhi davanti a un pc. 
Con lui abbiamo parlato dell’importanza del Mentoring per Mentee e Mentor, della sua carriera e del suo lavoro.

Cosa significa essere un*Mentor per te? In cosa a tuo parere un*Mentor è fondamentale nel processo decisionale di un* Mentee?
La relazione tra Mentor e Mentee è un’opportunità sia per il Mentor che per il Mentee. Essere Mentor significa ascoltare il Mentee e ritrovarsi, dopo qualche anno di esperienza lavorativa, con interrogativi, dubbi, ansie che si sono già vissuti. Quante volte diciamo “se avessi avuto l’esperienza che ho ora!”. Il Mentor mette a disposizione quell’esperienza. Credo che il Mentor sia un sounding board, capace di ascoltare i dubbi di un giovane che si affaccia ora al mondo del lavoro, e spiegare come quei dubbi siano stati affrontati da lui nel passato. Ovviamente ogni esperienza è diversa, quindi l’ascolto è molto importante per capire il contesto unico del Mentee. 
Nel mio caso, io cerco sempre di ascoltare i miei Mentee il più possibile, capire quali sono le loro esigenze e preoccupazioni, e incoraggiarli a fare esperienze utili per la loro crescita personale e professionale. A volte hanno dei dubbi legittimi su delle opportunità che si presentano, ad esempio “va bene questo lavoro se poi voglio crescere in questo ambito?” oppure “che indirizzo di specializzazione devo prendere? L’ambito accademico mi chiude o apre porte?”. Sono tutte domande legittime, a cui non esiste una risposta univoca. Come Mentor mi piace cercare di capire quali sono gli interessi dei Mentee, e quindi offrire la mia visione su cosa ogni scelta può significare nel lungo termine, che porte apre e che porte chiude. E credo sia molto importante sempre incoraggiare il Mentee a prendere una decisione e perseguirla con ottimismo, piuttosto che farsi prendere dall’ansia del dubbio o da una analysis paralysis. Poi alla fine i Mentee, come tutti, prendono le scelte che avrebbero preso comunque molto probabilmente; il Mentor può aiutare a prenderle a cuor leggero dopo averne parlato con qualcuno che ha già affrontato dubbi simili e li ha superati in una maniera che può dare coraggio! 
 
Cosa lascia il fare Mentoring a un* Mentor? Quali sono i pro che stimolano anche il/la professionista?  
Io sono grato ai miei Mentee forse più di quanto loro immaginino. Per me è un’opportunità di riflettere sulle mie scelte professionali e capire meglio la nuova generazione. La possibilità di rivivere vecchi dubbi professionali e capire come li si è affrontati è davvero un’opportunità utile e necessaria per stabilire il percorso di carriera che mi si apre davanti. Capire cosa ci rende felici a lavoro, quali sono le proprie ambizioni è più semplice quando si può mettere la propria esperienza a disposizione di altri; è un’ottima opportunità di riflessione. 
Inoltre, nel mio lavoro spesso assumiamo persone più giovani, ma fare una buona assunzione non è semplice: si ha a disposizione poco tempo per leggere un curriculum e poi per un’intervista di massimo 45 minuti. Non è abbastanza per conoscere qualcuno con un background completamente diverso al tuo, e giudicarlo nella maniera migliore. Avere invece uno scambio professionale regolare con un Mentee permette di conoscere meglio i giovani professionisti di oggi e i leader di domani, così da poter capire meglio come identificare i talenti e permettergli di fiorire nel migliore dei modi. 
Ultimo punto, trovo molto importante capire i leader di domani: le loro idee, il loro modo di lavorare, le nuove prospettive che apportano sono tutti spunti necessari e strumenti nuovi per innovare e creare realtà lavorative che continuino a migliorarsi nel tempo e a integrare il futuro che emerge.
E poi mi sento utile a qualcuno! 
 
Perché consiglieresti ad un* studente/ssa un percorso di studi di stampo ingegneristico? E a chi invece lo sconsiglieresti?
Ovviamente sono di parte e quindi lo consiglierei a chiunque, in particolare ingegneria gestionale! Scherzi a parte, uno dei vantaggi che secondo me offrono gli studi ingegneristici risiede nello sviluppare le capacità analitiche dello studente, capacità a mio avviso necessarie in ogni ambito. Io venivo dal liceo classico, e ingegneria è stata più difficile al principio. Ma lo studio del greco e del latino in realtà mi ha preparato a sviluppare e affinare le capacità analitiche e di compressione di elementi complessi. Per cui sicuramente non sconsiglierei ingegneria a studenti che vengono da studi che non sembrano direttamente collegati o propedeutici. 
Per me il segreto è la passione e la conoscenza di sé. Ingegneria è uno studio tecnico e scientifico. Se non si ha una lente tecnica e scientifica per osservare il mondo, allora forse non è il percorso ideale. Ingegneria è anche una branca molto ampia di studi diversi. Ingegneria gestionale è forse il percorso più ibrido, che specializza meno in un ambito tecnico e scientifico, perché ha delle similitudini con economia aziendale e altre con altri ambiti ingegneristici. Altre aree ingegneristiche sono forse più specializzanti da un punto di vista tecnico, e offrono comunque sbocchi lavorativi ottimi dove c’è necessità di solide capacità analitiche anche se in ambiti tecnici diversi (penso ad esempio a imprese di consulenza che apprezzano un percorso ingegneristico per queste capacità e poi formano i loro impiegati nell’ambito tecnico rilevante). 
Però è importante capire cosa ci mantiene motivati e come guardiamo al mondo. Se ci piace scrivere, se siamo interessati al risvolto morale e filosofico di temi di attualità, se ci interessa creare una teoria generale più che spiegarla, forse altre facoltà possono offrire dei mezzi più adatti per fornire al meglio la propria impressione di come funziona il mondo. Se invece siamo curiosi della praticità di un tema di attualità, se vogliamo capire quali meccanismi tecnici e scientifici ci sono dietro la produzione di un prodotto che usiamo, allora forse ingegneria può fornire dei mezzi di analisi delle dinamiche che ci circondano più adatti a noi. E con i mezzi adatti e che rispecchiano le nostre inclinazioni, sono certo che tutti siamo in grado di fornire il contributo migliore alla società!
 
Ripensando al tuo percorso di studi e professionale: quali sono stati i momenti di maggiore difficoltà e quelli invece di successo e che ti hanno dato maggiormente soddisfazione?
Spesso le difficoltà (se superate...) si trasformano nelle maggiori soddisfazioni, perché insegnano tanto! Provo a dare qualche esempio:
a) L’Erasmus. Sono stato selezionato per l’Erasmus in Germania, e soprattutto in tedesco (credo fosse una sorta di punizione alla mia media non alta). I primi giorni non capivo una parola. Davvero andavo a lezione e non sapevo nemmeno se fossi nella classe giusta, che materia era?! Eppure piano piano, e con il supporto di tanti nuovi amici (che mi escludevano da qualunque conversazione a meno che non parlassi in tedesco...), sono riuscito a dare tutti gli esami, scritti e orali. Ora penso che l’Erasmus sarebbe dovuto essere piú lungo e non mi dispiacerebbe tornare a vivere in Germania (peccato che non ricordi una parola di tedesco...). 
b) L’MBA. Ho svolto un Executive MBA con persone più grandi di me e con tanta più esperienza professionale. Mi sentivo il più giovane e con meno idee ed esperienze per contribuire alla classe. Eppure mi ricordo che un collega colombiano un giorno mi disse “non so se hai notato, ma ogni volta che dici qualcosa stiamo tutti zitti ad ascoltare perché dici cose sempre interessanti e inaspettate”. Quell’“inaspettate” potrebbe anche aver voluto dire “ridicole” se ci penso..., ma comunque è importante buttarsi e mettersi in gioco, perché la percezione che gli altri hanno di noi può essere molto migliore di quella che abbiamo di noi stessi. Noi italiani non siamo mai contenti di noi e siamo molto perfezionisti.
c) Cambio di carriera. Dopo circa 8 anni di esperienza in ambito di sostegno del commercio e degli investimenti internazionali, la mia capa mi chiese di accompagnarla a gestire la strategia e il budget di tutta la corporazione (con uffici in 100 paesi e un budget di quasi 2 miliardi di dollari). Non ero sicuro, e sicuramente imparare un mestiere nuovo è stato difficile, ma mi ha dato dei mezzi che non mi sarei aspettato fossero spendibili in altre aree. E, cosa più importante, a quel punto non scelsi il lavoro, quanto piuttosto scegli il capo: non avrei ora la mentore migliore del mondo, che, quando ho un dubbio sulla mia carriera, mi ispira a diventare segretario generale delle Nazioni Unite, e non a guardare semplicemente al prossimo piccolo passo nella mia crescita. Non è una questione di ambizione, ma ho imparato che bisogna sognare in grande! Mantenendo un atteggiamento positivo, costruttivo e combattivo per realizzare quel sogno. Dove si arriva arriva, l’importante è il percorso e la motivazione per affrontarlo.
Poi ovviamente alcuni esami in università erano difficili e basta: ne ricordo uno che ho dovuto rifare tante di quelle volte che avrei pagato per un 18!
 
In cosa si concretizza una tua giornata lavorativa? Quali sono le skill necessarie da sviluppare, e le competenze imprescindibili, per intraprendere un percorso professionale come il tuo?​
Il mio è un percorso un po’ atipico per un ingegnere (ma forse ingegneria gestionale è un po’ atipica per un’ingegneria). Credo che le capacità analitiche e quantitative siano indispensabili e imprescindibili in qualunque lavoro. Al giorno d’oggi, quando abbiamo a disposizione una quantità di informazioni incredibile e che continua a crescere, è davvero importante riuscire a identificare, leggere e dare un senso ai dati rilevanti. La complessità del mondo di oggi non è data solo dalla quantità di informazioni, ma anche dalla quantità di relazioni e interessi. Per cui, agilità nel pensiero e capacità relazionali e politiche sono competenze necessarie e da sviluppare. 
Un elemento importante da considerare è la specializzazione tecnica. Io personalmente non so ancora dare una risposta a domande tipo: meglio crescere professionalmente per diventare un general manager (quindi prediligendo competenze trasversali e trasferibili) o diventare un esperto in un’area tecnica specifica per poi essere riconosciuto in quell’ambito e crescere da lí? Non ho una risposta, ma credo sia importante capire quali sono i propri interessi e le proprie passioni, e seguirli. Se uno studente o un giovane professionista hanno una passione per un ambito tecnico (per esempio energie rinnovabili, o temi di genere, o studi di produzioni agricole in condizioni desertiche, per dare un esempio incredibilmente specifico), ben venga seguire questa passione! Darà motivazione e permetterà di realizzarsi, e un professionista realizzato e che dimostra passione farà un’ottima carriera! Se non si ha una passione specifica, credo ci voglia tanta curiosità e apertura, e col tempo sempre più determinazione e conoscenza di sé per identificare un percorso adatto alla propria personalità.
Come si svolge la mia giornata lavorativa? Il mio lavoro verte sull’analisi del profilo di rischio finanziario di progetti di investimento in vari settori (ad esempio manifattura, finanza per piccole e medie imprese, qualche infrastruttura) in paesi emergenti. Questa analisi coinvolge vari aspetti: un’analisi molto quantitativa del rischio finanziario combinata a un’analisi molto qualitativa dell’origine del rischio e di quali attori sono più indicati per prendere un particolare tipo di rischio. Partecipo a tantissimi meeting con soggetti diversi: banche commerciali, economisti, Nazioni Unite, banche di sviluppo, governi di paesi che finanziano l’assistenza allo sviluppo e governi che la ricevono, investitori che hanno un progetto innovativo e hanno bisogno di risorse finanziarie. Il lavoro è davvero interessante e combina aspetti diversi, e a me personalmente piace tanto questa diversità di compiti, ruoli e attori. Mi piace esplorare la complessità dei nostri sistemi (finanziari, economici, organizzativi) e darle un senso, spiegarla e risolverla.

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