Sul significato di digital innovation, si tratta di applicare tecnologie emergenti per trasformare i processi interni ed esterni di un’organizzazione, con lo scopo di migliorare i servizi, i prodotti e l’esperienza generale per l’utente finale. Ma anche di incoraggiare il pensiero creativo e l’adozione di nuove metodologie di lavoro per proiettare un’organizzazione nel futuro. Dunque il tipo di attività dipende profondamente dal contesto. Per esempio, digitalizzare la pubblica amministrazione è diverso dal gestire una startup innovativa, mentre alcune grandi aziende - si pensi alle BigTech - sono native digitali e operano trasversalmente rispetto ai settori e alle giurisdizioni. Per queste grandi piattaforme, innovative per definizione, non avrebbe senso parlare di trasformazione digitale, perché lo stesso concetto presuppone che vi sia un’organizzazione tradizionale, non digitale, che si debba trasformare.
Nelle istituzioni Ue, la Commissione europea è un’autorità governativa che ha iniziativa legislativa. L’unità dove lavoro è responsabile di innovazione digitale e blockchain. Da un lato, per quanto riguarda la policy, ci occupiamo della regolamentazione dell’innovazione, in collaborazione con i co-legislatori, il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea. Per citare alcuni pacchetti legislativi, si pensi al Digital Services Act o al Digital Markets Act. Oppure alla proposta per un’Identità digitale europea, o alla futura regolamentazione dell’Euro digitale. Dall’altro lato, monitoriamo le applicazioni delle nuove tecnologie anche interagendo con il settore privato. Vi è poi un’iniziativa che propone di utilizzare la blockchain per i servizi della pubblica amministrazione, nota come EBSI.
Che tipo di competenza e preparazione è richiesta per lavorare nel tuo ambito?
Fra i miei colleghi vi sono molti giuristi, economisti, ma anche figure con profili tecnico-scientifici come ingegneri e informatici. Frequenti sono inoltre background in studi europei e scienze politiche. L’ambiente di lavoro è internazionale, con tutte le nazionalità dei 27 paesi membri ben rappresentate. Questo fa emergere anche le differenze culturali negli approcci che diversi sistemi educativi nazionali hanno nei confronti della stessa disciplina. Tutto ciò è una grande fonte di apprendimento. A ciò si aggiunge la diversa esperienza professionale dei colleghi: alcuni sono civil servant da sempre, a livello europeo o nazionale; altri provengono dal mondo accademico o, come nel mio caso, dal settore privato.
Le politiche pubbliche richiedono la capacità di creare connessioni tra diversi ambiti e competenze. Occorre conoscere i dossier tecnici, ma anche saper fare sintesi e negoziare in tavoli dove le ragioni della tecnica vadano accompagnate da argomenti che si innestano più in generale sulle esigenze delle istituzioni, delle aziende, dei cittadini. L’interesse generale della società è maggiore della somma delle sue parti. Il processo di policy making europeo è dunque un buon punto di osservazione per il bilanciamento degli interessi della società europea.
Sei entrato in M4U come Mentee e ora sei un Mentor: in cosa M4U è stato imprescindibile per il tuo percorso?
Il programma M4U mi ha permesso di instaurare un prezioso canale di ascolto e condivisione con professionisti in diverse fasi del loro percorso. Da Mentee, ho ricevuto consigli su quali azioni concrete intraprendere per raggiungere i miei obbiettivi e, in molte occasioni, spunti di riflessione che mi hanno portato a ripensare profondamente e riorientare quegli stessi obiettivi. Da Mentor, ho il privilegio di mantenere un contatto con menti giovani, seguendo e accompagnando l’evoluzione di percorsi che, come in un gioco di universi paralleli, forniscono continuamente opportunità di maturazione anche per chi si trovi a giocare la parte del consigliere e non del consigliato. Scherzo: è evidente che una tale distinzione sia estremamente sottile in un rapporto di Mentorship. Proprio l’interessata reciprocità e la genuina informalità di questo scambio sono gli elementi che considero imprescindibili per il percorso che ho svolto sinora in M4U.
Alle/ai aspiranti Mentee, in che modo consiglieresti di rapportarsi al Mentor/costruire il rapporto di Mentoring? Quali sono gli step importanti?
Consiglio anzitutto di proporsi proattivamente, con educazione e assertività, senza porsi particolari limitazioni a monte. Certo, possono esservi dei periodi in cui il Mentor sia particolarmente impegnato, ma in tal caso vi verrà comunicato. Essendo un rapporto che beneficia entrambe le parti, la Mentorship è un investimento sul futuro e in quanto tale richiede una sorta di atto di fede. I risultati della Mentorship non sono immediatamente evidenti, ma proprio in quanto profondi e radicali, richiedono del tempo per emergere.
Per quanto riguarda gli step: innanzitutto assicuratevi di instaurare un buon canale di dialogo con il Mentor, poi riflettete insieme sui contenuti, su quali tipi di percorso possano essere utili. Da un lato alcune attività come la preparazione di un cv o di una lettera motivazionale, oppure dei percorsi sullo storytelling e la comunicazione efficace. Dall’altro, la discussione dei vostri obiettivi di formazione o sviluppo professionale. Un consiglio forse banale: come accade per gli atleti, porsi un obiettivo è il primo fondamentale passo per il successo. Questo obiettivo quasi sicuramente subirà trasformazioni in futuro, ma vi permetterà di identificare, anche grazie al rapporto di Mentorship, le vostre motivazioni personali e le strade migliori per impiegare il vostro talento.
Davanti a un colloquio andato male o un episodio demotivante: come reagire senza abbattersi?
Non è certo facile identificare una ricetta universale. Ritengo però che una strategia importante consista nel relativizzare l’accaduto: l’episodio è probabilmente una delle innumerevoli occasioni che il mio percorso mi offre. Me ne ricorderò davvero fra 10 anni? Inoltre, fino a che punto posso imputare a me quanto accaduto, oppure a fattori che non erano interamente sotto il mio controllo? L’importante è dare sempre il massimo, investendo sul proprio sviluppo. Gli apparenti insuccessi possono facilmente trasformarsi in tappe di avvicinamento alla concreta scoperta del proprio percorso. Quanto già detto per la relazione di Mentorship vale anche per l’evoluzione professionale: i risultati talvolta si fanno attendere, e la vita certo sa come sorprenderci!