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La consapevolezza di lavorare in mezzo a persone di talento. Intervista alla Mentor Silvia Robitschek

di Team Editoriale | Mentors4u

Manager @ Bain & Company, milanese doc, diploma classico al liceo A. Manzoni, triennale in Finance in Bocconi, specialistica in International Management sempre in Bocconi e MSc CEMS. Tre esperienze internazionali durante gli anni della formazione: UCSD in California, CBS a Copenaghen, internship in Rocket internet a Berlino. Super amante dello sport soprattutto vela, sci, hiking, sta imparando a giocare a tennis.
Con lei abbiamo parlato di gender equality, consulenza e come si reagisce ai momenti deludenti.

Prima di approdare in Bain hai lavorato per due anni in Vodafone: qual è la principale differenza tra un’esperienza corporate e l’attività di consulente? A un* neo laureat* quale tra i due ambiti consiglieresti di approcciare per primo? Perché? Quali sono invece le caratteristiche intese trasversali che in entrambi i settori è necessario avere per dimostrarsi degli ottim* professionisti?
Sicuramente si tratta di ambienti estremamente diversi. La mia è stata una scelta convinta, credevo molto nell’esperienza di un graduate program in una grande realtà internazionale, in quanto avvertivo la necessità/curiosità di “toccare con mano” meccanismi e contenuti studiati solo sui libri. La possibilità di fare delle job rotation in diversi ambiti del business mi ha permesso di acquisire prospettive e contenuti diversi in breve tempo. La decisione di passare in ambiente consulenziale è arrivata dopo circa due anni e mezzo, quando sentivo di aver maturato una buona comprensione “della macchina” nel suo complesso, ma di voler apprendere uno dei punti di forza della consulenza strategica, ovvero il metodo e l’approccio ai problemi complessi. In entrambi i casi credo che ciò che non debba mai mancare sia la voracità intellettuale e il desiderio di apprendere, l’umiltà di riconoscere le nostre aree di debolezza su cui lavorare di più, la spinta per percorrere sempre l’extra-mile.

Quali sono gli step di carriera in Bain? Quali sono le practice delle quali ti sei occupata nel tempo? Qual è stata la maggiore soddisfazione da quando sei entrata a lavorare in Bain? C’è mai stato un momento di sconforto? Come lo hai affrontato?
Sono entrata in Bain a giugno 2015, e mentirei se non dicessi che il passaggio è stato molto intenso. I ritmi di una società di consulenza sono estremamente più veloci di quelli di un mondo Corporate, e sicuramente ho dovuto colmare una serie di competenze di toolkit strategico che i miei peer – entrati direttamente dall’università – già padroneggiavano. Ho iniziato con un percorso da generalista di circa 2 anni, lavorando in industry e con team molto diversi - IT, Telco, Financial Services, Utilities, Turismo, Assicurazioni – per poi approdare nella mia practice di riferimento, Fashion & Luxury, dove ho intrapreso il mio percorso di crescita fino a diventare Manager. Di momenti di sconforto ce ne sono/saranno sicuramente molti durante il cammino: è una professione estremamente demanding che richiede anche sacrifici a livello di vita personale e di flessibilità. Il livello di performance richiesto è altissimo, ci si confronta tutti i giorni con progetti estremamente sfidanti e clienti esigenti. D’altra parte ciò che rende unica l’esperienza in Bain è la consapevolezza di lavorare in mezzo a persone di estremo talento, al di là di practice e seniority. Nel mio caso i momenti di maggiore soddisfazione sono sempre arrivati dal riconoscimento sincero del valore del lavoro che avevo svolto insieme al mio team da parte del cliente.

La gender equality è un argomento di cui recentemente nel settore economico si parla sempre più spesso rispetto a tempo fa: credi che sia un ”traguardo” al quale siamo vicini? Cosa ancora nell’economia e nei suoi diversi ambiti è necessario cambiare/modificare come approcci/mentalità/atteggiamenti/modus operandi perché sia garantita una vera e propria
parità di genere lavorativa? A una ragazza che si trova seduta ad un tavolo di lavoro che è in maggioranza di uomini, cosa consiglieresti?
La gender equality è assolutamente un tema attuale, che credo ogni employer dovrebbe inserire tra le priorità che ha in agenda. Bain lo sta facendo, negli ultimi due anni molte iniziative sono state lanciate a supporto di un contesto lavorativo più favorevole alle donne (dal part-time, all’aspettativa, alla formazione sul leadership team), per quella che è la mia esperienza posso dire di vedere il contesto cambiare rapidamente rispetto a quando sono entrata. Sicuramente rimane un ambiente a predominanza maschile, e per quanto poi valgano criteri di meritocrazia nell’avanzamento di carriera, il fatto di trovarsi – soprattutto agli inizi – da sole in un ambiente “maschile” se non addirittura “maschilista” può spaventare. Scherzando dicevo ad una collega che per una donna questo lavoro è più complesso, perché oltre a dover fare ciò che il progetto richiede noi lo dobbiamo fare truccate e con i tacchi. Banalmente anche la valigia per una banale trasferta è più complicata per una donna che per un uomo, basti pensare alla necessità di cambiare outfit ogni giorno vs il canonico completo blu, il phon, lo shampoo, il balsamo, la piastra, il profumo, i trucchi, il cambio scarpe.... Scherzi a parte, credo sinceramente non ci sia “gender” nel talento, e che stia a noi in primis riconoscerci il valore che abbiamo e che possiamo portare al tavolo, se gli altri non lo fanno per noi impareranno a farlo!

In generale in un rapporto di Mentoring, quali sono le principali informazioni che un*Mentor deve, a prescindere dall’ambito professionale a cui ispira il/la Mentee, fornire? Come si motiva un* Mentee delus* da un colloquio finito male? E come invece si sprona a rischiare nel momento di una scelta difficile ed audace?
Per la mia esperienza personale, i Mentee hanno sempre pronte liste di domande che vogliono fare. Credo sia importante sfruttare la prima parte dell’incontro per presentarsi, condividere le reciproche esperienze, e creare empatia. Poi come Mentor, il regalo più grande che si possa fare ad un Mentee è dargli la prospettiva di qualcuno che qualche anno fa si trovava seduto sulla sua stessa sedia a farsi le stesse domande, e che ora con qualche anno di più può aiutarlo a riflettere su aspetti che magari non aveva considerato.
In caso di colloqui andati male, a me piace portare il Mentee a riflettere su quante altre opportunità gli si presenteranno in futuro. Fare un colloquio è comunque un’esperienza da cui si può imparare a fare meglio il successivo, ed è importante chiedere all’employer feedback in modo da mettere a fuoco eventuali aree di miglioramento.

Se potessi per un momento rimettere i panni della studentessa neolaureata: qual è l’esperienza che hai vissuto dopo la laurea alla quale non potresti rinunciare professionalmente parlando? Quale momento negativo affronteresti in modo differente rispetto a come lo hai vissuto?
Difficile rispondere perché sono molto felice di entrambe le esperienze professionali che ho fatto, sia in ambito Corporate che in ambito Management Consulting. In entrambi i casi consiglio di provare a fare un progetto di coordinamento che coinvolga team internazionali, magari anche andando all’estero. Apre la mente!
Tra i momenti negativi ricordo un progetto in ambito Financial Services, per cui sono stata un anno da sola a Vienna, con il resto del team in Italia. Sicuramente il fatto di essere junior, in un paese straniero, da sola tutta la settimana mi ha messo di fronte a sfide piuttosto grosse trattandosi di un progetto anche molto complesso dal punto di vista dei contenuti e delle relazioni. Dovessi tornare indietro credo farei in modo da coinvolgere di più il senior team sui filoni che gestivo direttamente io, in modo da assicurare che percepissero e quindi apprezzassero di più lo sforzo fatto.

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