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Il bello del Mentoring? Creare un dialogo aperto

di Team Editoriale | M4U

Il Mentor Matteo Marascio è consulente strategico in Bain & Company, per cui ha collaborato su progetti in ambito Oil&Gas, Healthcare e Private Equity. 
È co-founder di WineKnox, una startup in ambito Wine, e start-up advisor in investor relations e business planning.
Dopo la doppia laurea Ingegneria Biomedica presso il Politecnico di Milano e il Politecnico di Torino, tramite percorso di Alta Scuola Politecnica ha conseguito un PhD presso l'École Polytechnique Fédérale de Lausanne.
Lo abbiamo intervistato, per farci dare qualche consiglio utile per i nostri Mentee e gli aspiranti tali.

Che plus ti ha dato la formazione in ingegneria? Ed il dottorato, invece? È un’esperienza che consigli? 
Non posso fare chiaramente un paragone diretto con gli altri percorsi di studio, sicuramente ciò che ingegneria agevola un po’ di più, in relazione alla consulenza che è il mio settore e che fa continuamente interfacciarsi con molte persone che non sono ingegnere, o sono ingegneri gestionali, è lo sviluppo di una duttilità di approccio: si parla spesso della forma mentis dell’ingegnere che è una cosa astratta ma che si concretizza nell’essere capaci a riutilizzarsi in diversi contesti, basti pensare ad una laurea triennale in ingegneria in cui si trattano tanti temi, scientifici ed economici, viene data una bella infarinatura di partenza che può poi essere declinata su vari ambiti diversi.
Il dottorato è un’esperienza particolare, ogni dottorato è diverso dall’altro, non si è in una comfort zone come accade in una corporate o di una consulenza. Il dottorato è artigianato, lo si costruisce da soli, è un percorso peculiare, ed è un’esperienza non adatta a tutti: bisogna capire le motivazioni per cui lo si vuole fare e cosa dallo stesso si desidera ottenere.
Per esempio, io l’ho fatto in chiave di imprenditoria e non di ricerca, mi sono orientato dove poi mi sono diretto, sui brevetti, e non sulle pubblicazioni che era la via verso la quale mi muovevo.
È una bella esperienza, che da molto, ma bisogna essere consci del perché e di ciò che si vuole da questa esperienza: non è una cosa che si fa tanto per riempire tre anni.
 
Per conseguire il dottorato hai scelto di spostarti all’estero: come mai? Consigli un’esperienza fuori dall’Italia? Per quali motivi? 
Assolutamente sì e a partire dalla triennale. 
Erasmus, tirocini all’estero, qualsiasi esperienza che metta in contatto, e la consiglio soprattutto per chi non è un fuori sede: ci si mette alla prova, vivere all’estero non è banale, non è facile e non è tutto bello. Si tratta di una sfida personale, in alcuni paesi più di altri.
Un’esperienza all’estero da molto a livello di opportunità relazionali: bisogna calarsi nella realtà in cui si vive, confrontarsi con abitudini, culture e lingue diverse, ed alla lunga ti da tanto, umanamente ti aiuta a confrontarti, crescere, a metterti alla prova, professionalmente agevola la creazione di una serie di soft skill, abilità linguistiche che nel mondo del lavoro sono estremamente utili.
Peraltro, oggi, la seconda, ma soprattutto la terza lingua è considerata un asset.
 
Da due anni lavori in Bain: per prepararsi a un colloquio, cosa fare e cosa non fare?
Potrebbe sembrare banale ma non bisogna prenderlo sottogamba quanto al contempo non si deve essere troppo spaventanti.
Deve essere affrontato con serietà, ma quasi come un gioco, nel senso che sono format di intervista che devono piacere: non perché se non ti piacciono non vai bene per quel lavoro, ma perché in sostanza sono ciò che farai il tuo lavoro, il business case che sarai chiamato a svolgere sarà infatti molto simile al ragionamento che dovrai mettere poi in essere una volta assunto.
Se durante un’intervista capisci che è una cosa che ti piace, non fai fatica e ti diverte, benissimo.
Se ti piace, ma trovi il tutto strano e fai un po’ fatica, è normalissimo: io stesso arrivo da un percorso in ingegneria senza avere un background di finanza, mi è servito del tempo e dell’investimento per arrivare ad un livello sufficiente di preparazione.
Non bisogna improvvisare: è importante farsi consigliare nella preparazione per le risorse da utilizzare e modo di approcciare questo mondo, per farsi un’idea dall’interno su cosa è la consulenza, parlare con le persone.
Ed è consigliato provare ad aggregarsi ad altre persone che stanno affrontando la stessa sfida per una questione motivazionale oltre d’apprendimento, anche per aiutarsi nell’esposizione orale.
 
A tuo avviso, in relazione alla tua esperienza di Mentor, quali sono le domande da fare e quelle da non fare a un Mentor?
Non esistono domande da non fare: il bello di un rapporto di Mentoring è creare un dialogo aperto per togliersi dubbi, paure, curiosità, anche relativi a cose che si sanno già per avere conferme.
È importante mettere tutto sul tavolo: cerco di impostare un rapporto paritario, in cui mi racconto e chiedo di raccontarsi al Mentee, senza una formalizzazione.
Racconto il mio percorso, condivido quanto posso dare che afferisce alla mia esperienza e su tutto il resto mi rendo disponibile al confronto.
È importante per il Mentee non avere paura, essere trasparente, non temere di condividere le proprie paure, soprattutto quella di non farcela, di non sentirsi adeguati: un rapporto di Mentoring ti permette di ascoltare un’altra campana, diversa da quella che senti parlando con amici o genitori, e di avere davanti.
 
Oggi, se fossi uno studente universitario che si approccia al mondo del lavoro, che tipo di strada, intraprenderesti?
Questa è una domanda difficile. Arrivo da un percorso accademico, e nel mondo del lavoro non ci sono entrato molto tempo fa: oggi ci sono sicuramente molte opportunità, e non bisogna puntare per forza in quelle più blasonate. Credo sia importante costruirsi un proprio profilo in base a ciò che ci appassiona anche se sono percorsi diverse rispetto allo standard.
Se tornassi indietro, forse prima di un dottorato cercherei di approfondire industrie che vengono toccate poco dall’università, la parte digital, il marketing per ingegneri, lavorando tanto sulle soft skill. E poi passerei su un percorso consulenza o in alternativa su chiavi più piccole in termine di startup.

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