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LA DIFFICILE VITA DELLE STARTUP IN ITALIA: DI CHI È LA COLPA?

di Marco Napolitano | Team editoriale Mentors4u

Oggigiorno sembra che ci siano startup ovunque, basta guardarsi intorno e si scopre che per ogni  bisogno esiste una startup che se ne occupa. Dati alla mano però,  la “Relazione annuale del Ministro al Parlamento sullo Startup Act Italiano” ci dimostra che la situazione è tutt’altro che florida, almeno in Italia. Ma analizziamo meglio cosa ci dicono i dati raccolti.
 

Da una prima lettura scopriamo che da Giugno 2016 a Giugno 2017 le startup annoverate come innovative sono aumentate del 24,5% (1456 unità), per un totale di 7398 iscritte. Un’altra piacevole notizia è che queste startup hanno dato lavoro a 34.120 persone. Ma, se andiamo più a fondo, scopriamo qualcosa di davvero inaspettato.
 
Su 34 mila persone 23.858 sono fondatori e il restante dipendenti, inoltre, il fatturato medio di ciascuna startup è di 164 mila euro. Questo, tradotto in soldoni, significa che ogni startup ha 1,4 dipendenti ed ha un fatturato, stando al concetto europeo di PMI, non da Piccola Media impresa ma da Micro impresa!

Sono numeri che lasciano impallidire soprattutto se si confrontano con il mercato americano o semplicemente se si guarda oltralpe ai nostri cugini francesi.
Ma perché altrove ci sono i famosi unicorni mentre qui si festeggia anche solo per aver fatto 1 milione di euro di raccolta ad un round d’investimento? E’ veramente tutto così difficile e non ci sono strumenti adeguati a supporto delle nostre startup?
Io me lo sono chiesto e, un po’ per gioco un po’ per scommessa, ho partecipato ad un programma di preaccelerazione di idee per creare una startup.

Che cosa ho imparato da quest’esperienza e che cosa mi ha fatto capire sul sistema italiano di startup?

 
  • Il primo insegnamento che ho ricevuto è non innamorarsi mai troppo della propria idea, ma essere sempre pronto ad un “pivot” cioè a virare su qualcosa di diverso che il tuo prodotto o servizio prima non contemplava.
  • Un’altra cosa che mi è stata insegnata è non partire da una soluzione, ma da un problema e questo non deve essere sentito da te o tuo cugino ma da tutte le persone. Bisogna scendere per strada e parlare il più possibile con la gente, fare domande e ascoltare attivamente. Solo da lì possono iniziare i brainstorming volti a trovare la soluzione al problema. Bisogna ricordarsi di essere pratici pensando ad una soluzione semplice ed efficace al problema perché in questa fase noi dobbiamo soltanto validare la soluzione e capire se funziona.
  • Una volta arrivati ad un primo mockup/prototipo della nostra soluzione bisogna verificare se realmente le persone sono interessate al nostro prodotto/servizio e questo lo si fa ricorrendo ad una landing page che spiega cosa facciamo e perché lo facciamo (quest’ultimo punto, da molti sottovalutato, è fondamentale per avere credibilità e costruire una propria storia e un proprio brand).
  • A questo punto si fa della pubblicità mirata su piattaforme come facebook e google. Se l’audience viene scelta bene sarà possibile intercettare il nostro target ideale e sarà quindi possibile generare i primi leads. In questa fase non è necessariamente richiesta la vendita del prodotto/servizio, potrebbe bastare anche la manifestazione d’interesse da parte del consumatore. Ovviamente se si riesce addirittura a monetizzare con il prodotto/servizio in fase di mockup/prototipo, questo potrà rivelarsi una metrica vincente per convincere gli investitori a finanziarvi durante il vostro pitch.
Queste sono solo alcune delle fasi che ogni startup agli inizi deve attraversare. Ovviamente c’è molto altro ma per semplicità di trattazione mi sono voluto soffermare sui primi step.

Alla luce di ciò, la domanda è: perché solo in poche riescono a fare il boom? E’ per i soldi? Per i pochi VC in circolazione?
La risposta in realtà è molto più semplice e le responsabilità, se vogliamo essere onesti, non sono tutte da imputare al sistema Italia.
Quello che ho potuto constatare durante quest’esperienza è che la lentezza burocratica del nostro paese effettivamente non aiuta e può frenare alcune idee poiché non si dispone dei tempi di sviluppo e lancio sul mercato che si possono avere altrove. Però ho anche notato che la best practices che ho elencato in quest’articolo, raramente vengono messe in pratica dalle startup nostrane.

Ci sono molte aziende che lanciano il loro prodotto innamorati della propria idea (senza curarsi per esempio se al mercato serve davvero l’ennesima app), ci sono molte aziende che non hanno un canale d’acquisizione clienti strutturato e non fanno growth hacking e, così facendo, perdono l’opportunità di costruire rapporti veri e duraturi con le persone.
Ma soprattutto, le startup spesso e volentieri si concentrano su modelli di business non scalabili e questo, se tutto va bene, le condanna a diventare delle semplici micro imprese.
Poi ovviamente ci sono quelle che si definiscono startup innovative senza minimamente esserlo, ma questa è un’altra storia…

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